Le Radici – Simone Fappanni

IVAN VIMERCATI SOLARO FRA RITROVAMENTO E SCOPERTA
di Simone Fappanni

«Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare
nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi..»
(Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto)

È da qualche anno che, grazie a due amici, il maestro Elio Roberti e il presidente dell’AAV, Paolo Perotti, posso studiare da vicino la Pittura di tanti artisti valsabbini. Mentre scrivo scorrono nella mia mente i loro lavori, i loro sguardi, la loro voglia di raccontare, attraverso le immagini e i colori, emozioni e sensazioni senza tempo.
Durante questo percorso, peraltro ancora in fieri, non mi era mai capitato, almeno sinora, d’incontrare un artista che, pur avendo avuto radici nella Valle Sabbia, essendo figlio di Omero Solaro, fra i più grandi autori nati e vissuti in questi incantevoli luoghi, ha maturato all’estero il proprio iter compositivo, ritrovando poco a poco la forza per rappresentare quelle origini da cui, col pensiero e con la mente, non si è mai completamente allontanato.
In tal senso, l’esperienza di Ivan Vimercati Solaro si configura come una sorta di cammino che è, allo stesso tempo, di ritrovamento e di scoperta. Infatti, il ritorno in Valle dell’artista non è soltanto un “avvenimento” fisico, ma anche, se non addirittura soprattutto, mentale e affettivo.
Ed è per queste ragioni che, in questo ritrovare le sue origini, egli compie un complesso iter che coincide con la “riappropriazione” di elementi appartenenti a un mondo che, con lucidità estrema, raffigura compiutamente.
Un mondo calato nell’affascinante vetustà di Lavenone, contrappuntato, spesso, da mattoni e sassi dalle tinte che si alternano e coagulano secondo una precisa armonia, è assolutamente vivo, come denotano alcuni, importanti particolari che suggeriscono la “presenza” umana anche quando non è esplicitamente ritratta, come ad esempio scarpe lasciate sul poggio, un cappello e un bastone da passeggio appoggiati su di un parapetto, forse dimenticati.
Gli scorci di Lavenone sono pertanto descritti con perizia certosina, con un’abilità disegnativa sorprendente, a tratti disarmante, tanto che ogni frammento architettonico e paesaggistico diventa elemento costitutivo, essenziale, di una più ampia concertazione che denota non solo una prossimità affettiva verso gli spazi raffigurati, ma anche a chi ha vissuto in quei luoghi.
Si tratta di persone diventate, talvolta, “personaggi” di un passato non lontano nel tempo ma che, paradossalmente, sembra distante anni luce.
Un mondo in cui, all’omologazione cui spesso tende la società post-moderna, si preferiva la caratterizzazione specifica, vuoi per il tipo di lavoro svolto, vuoi per il ruolo ricoperto o per altre ragioni che in qualche modo, anche quello più semplice, ne venivano a precisare l’identità nello specifico contesto sociale.
Tuttavia, si tratta di una trasposizione immaginifica del reale, dal momento che le figure che animano i suoi quadri diventano “metamorfiche” tanto che il loro corpo è costituito – e qui ritorna il lietmotiv di questa serie di lavori – da nodose radici.
Non si tratta, è bene sottolinearlo, di una trasfigurazione di memoria ovidiana, ma di una “lettura” che, iniziando dal dato oggettuale, si va ampliando all’interno di un più ampio e concertato discorso pittorico fondato che si avvale di un sapiente gioco prospettico in cui la luce e la penombra formano, con il pigmento, un solido insieme.
Dunque, il dato biografico oggettivo si pone quasi sullo sfondo, andando invece a rappresentare una dimensione in cui si svelano, prima ancora che rivelarsi, tutte quelle componenti mimetico-espressive che consentono all’osservatore di operare, grazie a Ivan Vimercati Solaro, una rivisitazione in chiave simbolica del passato, sia attraverso immagini paesistiche quanto mediante figure la cui memoria non si è persa nel tempo. E, in questo senso, si può parlare, come si diceva in apertura, di vera e propria “scoperta”. (Simone Fappanni)