Le Radici – Alfredo Bonomi

IVAN VIMERCATI SOLARO E LE RADICI ARTISTICHE DI LAVENONE
La storia, spesso imprevedibile e capricciosa, riserva agli uomini parecchie sorprese.
È quello che sta accadendo nel nostro tempo. Stiamo attraversando un periodo difficile. Gli addetti ai lavori della grande finanza ci dicono che la situazione è drammatica con un futuro assai incerto sul versante economico, con squilibri sociali sempre più evidenti.
Ma anche senza scomodare le sofisticate analisi ogni persona di buon senso ed attenta ha compreso che è in atto un cambiamento quasi totale dove le certezze crollano.
I giovani alla ricerca di lavoro, e quindi della completa dignità di cittadini consapevoli e liberi, sono sempre più numerosi, così come abbondano coloro che temono il futuro e la vecchiaia vivendo in una inquietudine strisciante e nella paura.
In questo contesto non esaltante l’arte continua ad avere la funzione di asse portante della civiltà non solo perché promuove il bello e la dimensione della gioia, ma anche perché è la palestra della sensibilità e dell’intelligenza.
A livello locale l’Associazione Artisti Valsabbini da parecchi anni offre alla valle occasioni artistiche di qualità per mantenere, nell’attuale complessità che tende ad isolare più che ad unire, una propensione verso la pittura, coltivata dai valsabbini in anni non lontani.
Nel rigore economico, dove ogni taglio rischia di essere giustificato, la scure è calata in modo pesante sul versante della cultura.
Iniziative collaudate sono in crisi insieme alla progettualità che è il lievito di ogni progresso umano. L’Italia, considerata nel mondo il giardino della bellezza, è sempre più disattenta verso il suo immenso patrimonio artistico.
Se a livello istituzionale questo è lo scenario dominante rimane però la preziosità di un volontariato artistico, che tiene viva la fiamma dell’iniziativa creativa, dalla quale certamente, dopo il grande sconquasso, uscirà una nuova società perché l’intelligenza dell’uomo ha risorse infinite.
È anche per questo che l’attività portata avanti dall’Associazione Artisti Valsabbini è particolarmente significativa e merita grande attenzione.
In quel di Lavenone si allestiscono mostre non con la pretesa della vasta risonanza, ma certamente con l’obiettivo della serietà della proposta e della coerenza espositiva.
Il nuovo appuntamento, precisamente la mostra che illustra il percorso pittorico di Ivan Vimercati Solaro, sollecita alcune riflessioni.
Il pittore è nato a Lavenone nel 1948, quindi nel primo dopoguerra, negli anni del fervore della ricostruzione e particolarmente felici dal punto di vista artistico per la Valle Sabbia.
Lavenone, un angolo di mondo locale assai bello per la scenografia paesaggistica, con la frastagliata Corna Zeno che fa da sfondo ad un impianto urbano con dimore cariche di storia non ancora deturpate dalle manomissioni forzate della modernità, è a due passi da Vestone e vicinissimo alla conca del lago d’Idro, vale a dire quell’orizzonte geografico che ha visto la fertile produzione pittorica di Togni, di Garosio e del padre di Ivan, Omero Solaro, poetico e fine interprete dei paesaggi valligiani.
La tenzone artistica condotta a colpi di pennello dai tre grandi artisti, due più radicati in valle, e Solaro qui giunto da altri orizzonti culturali ed umani, nell’arco di tempo che va dalla fine della guerra sino a tutti gli anni Sessanta, è ricaduta sull’animo dei valligiani con grande forza e poesia.
È così diventato famigliare il colloquio con la pittura da parte di molti che hanno voluto nelle loro case le opere dei tre maestri.
È stato un esaltante momento di poesia, di intuizioni culturali e sociali, oggi visto con contorni un po’ mitici, ma certo non lontani dal loro reale spessore.
Questo per dire che Ivan Vimercati Solaro ha visto la luce della vita in un ambiente umano e sociale vivace ed in un luogo, Lavenone, speciale perché ancorato ad una tradizione storica, in un tenace raccordo, fertile di pensiero, con le sollecitazioni creative della natura e la propensione alla libertà degli abitanti.
In questo senso si può ben dire che un ambiente influisce sulle scelte della vita e non è insignificante per il suo percorso d’artista che il pittore, operoso in Germania, sia nato in quel di Lavenone, il piccolo mondo al quale lo legano robuste radici.
Certamente la sua arte è diversa da quella del padre, dominata da un altro sentire e da altre sollecitazioni, ma il cammino dell’arte è bello e vero proprio perché è sempre diverso e sempre nuovo.
Nel caso specifico le considerazioni che si impongono sono parecchie ed assai significative perché aprono una finestra riflessiva stimolante.
L’albero, come metafora della vita, è un soggetto ricorrente nella cultura universale. In Occidente molte sono le testimonianze che esibiscono il tema arboreo a partire dall’Albero della vita della tradizione cristiana che ha decorato ampie pareti delle cattedrali romaniche e gotiche.
È un motivo denso di simbologia e di poesia umana.
L’artista, con la lucidità tecnica che è cara ai Surrealisti, fa del tema dell’albero, nella sua integrità, dalle radici alla chioma, il marchio onnipresente delle sue composizioni.
I suoi scorci di abitato pedemontano, in questo caso Lavenone nella sua consistenza vera o in quella ricostruita nella memoria, si popolano, così come accade nelle fiabe nordiche, di uomini albero che vivono e respirano tra le architetture così meticolosamente descritte.
È un accordo magico tra realtà e immaginazione che sollecita pensieri che rimandano alla storia personale e professionale dell’artista.
È evidente un atto d’omaggio alla terra che gli ha dato i natali nella radicata convinzione che i luoghi hanno un senso per chi li abita, contribuendo a formare il carattere, anche quello artistico.
Per concludere, appare in tutta la sua portata il rapporto tra la solidità e l’immaterialità, tra la staticità del piccolo borgo, solo parzialmente intaccato dalle psichedeliche luci della modernità, ed il dinamismo di chi quel borgo l’ha lasciato tanti anni fa, ma ora lo omaggia.
Alla base di questo ritorno artistico ed umano emerge la convinzione che i “luoghi antropologici”, come li chiama Augè, mettono in costante relazione gli uomini e le cose con fili di sentimenti tenaci e resistenti, ancor più di quelli della rete informatica oggi sovrana.
Dalla mostra organizzata a Lavenone viene quindi un messaggio alto e suggestivo che alimenta nel cuore la fiducia nelle potenzialità benefiche dell’uomo nel contesto di un universo naturale. Alfredo Bonomi